15 luglio 2011

Rendere speciali le scuole normali



Da una lettera di Don Milani ad un'insegnante, si apre tutta una profonda riflessione sul significato reale dell'integrazione scolastica. Su edscuola.it ho trovato questo articolo, che rigiro a tutti voi. Vale la pena leggerlo tutto, ma ne evidenzio alcuni stralci significativi.

"Una vera integrazione, se deve sostenere tutti gli alunni, tutti uguali e tutti diversi, deve anche essere sostenuta da tutti. L’integrazione non riguarda solo l’alunno disabile: ciascuno di noi ha bisogno di aiuto e di sostegno, fosse anche solo in certi momenti e in certe occasioni".

"La nostra Costituzione è basata su principi solidaristici: al fascista "me ne frego", ha sostituito il democratico "I care, me ne occupo, l’altro mi sta a cuore".

"Compito della scuola è aiutare ogni alunno della classe a sentirsi parte integrante di un gruppo. Le classi non possono essere delle piccole comunità in concorrenza tra loro: devono avvicinarsi l’una all’atra e sentirsi parte di una comunità più ampia... Di questa comunità dovrebbero sentirsi parte tutti, ciascuno con il proprio ruolo e con le proprie mansioni: come un’orchestra in cui ognuno, pur suonando uno strumento diverso, contribuisce alla buona riuscita dell’esecuzione del brano musicale. Il senso di appartenenza a una comunità può rompere, e di fatto rompe, ogni barriera".

"A scuola l’integrazione deve prevedere:

- un coinvolgimento di tutti gli insegnanti e di tutti gli operatori scolastici, evitando di delegare tutte le responsabilità all’insegnante di sostegno e usufruendo in modo collaborativi e integrato delle sue competenze specifiche;

- una filosofia dell’integrazione che diventi cultura e modo di essere nel quotidiano, un substratum per integrare tutte le diversità;

- una modalità di approccio che non sia centrata solo sugli obiettivi (i programmi), ma anche sulle relazioni (gli aspetti affettivi): in questo contesto si colloca in modo particolare il ruolo del personale non docente;

- Il passaggio da un modo chiuso di intendere la scuola, come istituzione volta prevalentemente a fare apprendere determinate materie, a uno aperto in cui tutto sia, in un certo senso, scuola;

- un approccio il più possibile individualizzato;

- un equilibrio e un senso della misura nel fornire quel sostegno necessario con intensità, frequenza e durata commisurate al bisogno di ciascun alunno (e non solo dell’allievo con disabilità);

- il potenziamento delle risorse residue o esistenti in ciascuno (da parte degli insegnanti e degli operatori che collaboreranno);

- la coerenza degli interventi da stabilire non solo in sede di Collegio dei docenti, ma anche in riunioni con i non docenti: lavoro in gruppo e lavoro di gruppo;

- il perseguimento dell’autonomia dei soggetti da educare.

Una progettualità di questo tipo non si improvvisa: rimane un punto di partenza, non di arrivo.

Un punto di arrivo è un obiettivo, non un sogno".

"Non è l’individuo a doversi adattare alla scuola – quasi che questa fosse una divinità e non una semplice istituzione finalizzata a promuovere la crescita individuale, ma è la scuola che deve adattarsi all’individuo".

"Lo slogan Prima riabilitare per poi inserire viene ribaltato: Inserire per riabilitare. Se a parlare si impara parlando e a scrivere scrivendo, a stare con gli altri si impara stando con gli altri. Il contatto con i normali, con modelli comportamentali positivi, produce miglioramenti di per sé.

Occorre dunque creare le condizioni affinché l’alunno disabile possa frequentare positivamente la stessa classe dei suoi coetanei".

"Quando gli insegnanti dell’ordine di scuola successivo si lamentano del fatto che gli alunni appena arrivati non hanno le basi per svolgere il programma della scuola in cui essi operano, invece di lamentarsi sul muro del pianto, dovrebbero inserire nel loro programma il raggiungimento di quegli obiettivi che l’istituzione scolastica di livello antecedente non è stata in grado di perseguire. Altrimenti è la scuola del programma, non della programmazione. In definitiva – i termini più tecnici - se i prerequisiti non ci sono, occorre perseguirli.

Per fare questo i prerequisiti devono diventare obiettivi".

"L’autonomia di cui godono oggi le scuole consente a esse di fare leva ancora di più su una politica di programmazione conforme allo spirito del PEI: programmare significa stabilire gli obiettivi dell’apprendimento e dello sviluppo personale, rapportare gli obiettivi alle capacità personali di tutti e di ciascuno, valutare che l’obiettivo sia effettivamente raggiunto e, se necessario, modificare quanto previsto in modo ancora più mirato".

"Lo slogan degli anni Settanta "Rendere speciali le scuole normali" conserva ancora una sua validità".

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