4 gennaio 2016

Quella politica che invece di incentivare l'integrazione dei cittadini più deboli, attinge al loro sostentamento minimo



Aprire il nuovo anno con un post pieno di rammarico e senso di ingiustizia, non era nei miei propositi. Purtroppo, anche dove sembra ovvio si debba non oltrepassare un limite, questo viene fatto senza il minimo imbarazzo. La vicenda dell’Isee, che nella nuova Legge di Stabilità prevede l’inserimento delle pensioni di invalidità e le indennità di accompagno come parte del reddito, fa rivoltare l’anima. Un Governo che infierisce sulle fasce più deboli di cittadini, come può essere considerato? Qualsiasi discorso in bella mostra diramato dai media, cade rovinosamente. Come può essere credibile una politica che, oltre a ridurre quasi alla fame i propri cittadini, va a togliere quel poco che a malapena serve a sostentare chi non ha le stesse capacità di inserimento lavorativo e sociale, a causa di un handicap? Le famiglie che hanno al loro interno una persona con disabilità vivono una vita molto spesso al limite della sopravvivenza e in tutto questo si scontrano quotidianamente con problematiche pesantissime legate all’inclusione in ogni settore sociale, dalla scuola (in questo blog affrontiamo alcune situazioni tuttora irrisolte riguardo a un'integrazione scolastica piena di falle), al lavoro, o al tempo libero che sia. L’assistenza “dispensata” dallo Stato è ridotta all’osso, costringendo le famiglie a pagare di tasca propria, o a rinunciarvi, servizi che sono essenziali e consequenziali alla condizione di disabilità. E in un contesto di crisi economica tutto ciò assume una gravità ancora maggiore. La pensione di invalidità e l’indennità di accompagno non possono essere toccate, tassate. Non possono essere considerate “reddito” perché di fatto vanno a malapena a coprire le necessità legate alla disabilità stessa. Non sono qualcosa “in più” che viene erogato alla persona disabile ma solo una piccola parte a sostegno della sua difficile VITA. E non dimentichiamo che insieme alla persona che ha un handicap “viaggia” la sua famiglia: un nucleo di persone, quasi sempre un padre e una madre che assistono il proprio figlio in tutto, barcamenandosi per non perdere il lavoro (quando un lavoro ce l’hanno), terapie, controlli medici, malattie, imprevisti, burocrazia impietosa e vessatoria… in più, impegnandosi per creare una sorta di vita sociale al proprio caro, che nel contesto di una società impassibile e di città non accessibili viene penalizzata su ogni fronte, lasciando segregati e nella solitudine interi nuclei familiari. E ancora, questi genitori sono condannati a vivere pure l’angoscia del “dopo di  noi”, sapendo che il proprio figlio erediterà un futuro, in mancanza di loro, tutt’altro che tutelato. Ed è esattamente questo, che uno Stato, una politica giusta, dovrebbe fare: “tutelare” il diritto di vivere delle persone, mettendo al primo posto quelle che non hanno fisicamente i mezzi per poterselo guadagnare da sole, ma che se messe in condizione di esprimere la loro potenzialità diventano una risorsa sociale quanto e forse più degli “altri”, per aver maturato aspetti esistenziali normalmente ignorati. Se invece, come purtroppo sta succedendo nella realtà, la politica arriva a decurtare persino il sostentamento minimo, attingendo anche a quelle già piccole somme invece di prelevare altrove, allora non c’è più coscienza e nemmeno VERGOGNA.

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