21 ottobre 2016

Università e integrazione, tutto un altro mondo



©ph integrazionealunnidisabiliblogspot

Mio figlio ha finalmente iniziato il suo percorso universitario, non senza alcune titubanze iniziali che a volte lo facevano desistere dall’idea di continuare gli studi. Ci siamo presto resi conto che queste titubanze derivavano più che altro dalla estenuante esperienza fatta durante la scuola dell’obbligo e le superiori, e sappiamo tutti di cosa stiamo parlando. Dalla materna al liceo, in un crescendo di negazioni di diritti e discriminazioni sottili, mio figlio ha dovuto sopportare un lungo stillicidio che solo poche persone di grande sensibilità (come l’ultima professoressa di sostegno) sono riuscite a percepire. Una settimana si e una no voleva lasciare, la scuola era diventata un masso pesante da digerire, ancor più perché crescendo ci si confronta maggiormente con i coetanei e certe limitazioni fisiche, se le istituzioni educatrici falliscono nell’intento inclusivo, vengono sofferte di più.
Ringraziando il cielo il traguardo della maturità è arrivato e, non certo grazie alla scuola,  anche con belle soddisfazioni.

Questa piccola premessa per sottolineare il fatto che non è stato per nulla facile per lui decidere di continuare. Molti ragazzi con disabilità infatti smettono, si fermano tuttalpiù alle superiori, stremati e incerti sul loro futuro. Ho suggerito a mio figlio di fare un tentativo, se fosse stato abbastanza motivato, solo un tentativo. Ha così iniziato le sue prime settimane all’Università, e dopo un primo momento in cui abbiamo dovuto districarci fra una miriade di moduli online da riempire e contatti con la cooperativa che gestisce l’assistenza universitaria, finalmente ha preso il via questa nuova esperienza. C’è un tutor "ad personam" che lo affianca durante le lezioni e per l’assistenza fisica, accessibilità dei luoghi e adeguamenti a misura, un ufficio per le disabilità a cui far capo, e tanta disponibilità.

Qualche giorno fa, gli ho chiesto cautamente come stessero andando le cose nel complesso, e lui mi ha risposto: “Mamma, qui mi sento una persona normale, sono trattato come un essere umano capace di pensare e scegliere, mi muovo con la mia sedia senza imbarazzo perché non trovo ostacoli, l’ambiente è piacevole. Riesco a ‘respirare’. Sono felice mamma, qui è tutto un altro mondo”.

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