14 giugno 2014

La solitudine dell'estate


È un argomento che ho profondamente e dolorosamente nel cuore. Parlo della solitudine in cui vivono i ragazzi che hanno delle disabilità, in particolare con la chiusura estiva delle scuole. La scuola, per chi convive con un handicap, spesso rappresenta un campo di battaglia tutto l’anno, ma allo stesso tempo resta una delle poche risorse per socializzare e, in alcuni casi, l’unica occasione di passare qualche ora tra coetanei. 
Noi genitori ci preoccupiamo giustamente che vengano garantiti tutta una serie di diritti, dall’istruzione all’inclusione… Ma loro, i ragazzi, vi immaginate quale possa essere il bisogno primario di un bambino o di un adolescente? Unicamente stare in compagnia dei coetanei, sentirsi parte del gruppo. 
Con le vacanze estive sembra chiudersi il mondo intero e se va bene puoi aggrapparti a quell'ora striminzita di assistenza domiciliare, che non sempre coincide con la presenza di un tutor adeguato all'età e alla situazione, qualcuno che possa davvero contribuire a un processo di crescita, ma perlopiù ci si ritrova con una signora che lavora per arrotondare il suo bilancio familiare e che si limita a fare il giro del palazzo per l'ora "d'aria". 
D'estate tutto sembra evaporare ancor di più e le famiglie lasciate più sole che mai. Non soltanto la fatica fisica e mentale, si aggiunge la pena più grande nel vedere ragazzi privati della loro infanzia e adolescenza. E quando capita di ascoltare commenti del tipo: “Tanto non capisce e non soffre”, oppure: “Se non ha mai camminato, non distingue la differenza”, tocchi con mano quanta ignoranza e superficialità possa raggiungere l'essere umano.
Rifletti sulla profondità di un baratro sociale, scavato in primis da scelte politiche volte a soddisfare un mucchio di cose non prioritarie, ma anche da gente che pensa troppo a se stessa. E così l’handicap diventa disabilità, un limite imposto da una società anestetizzata.
Manca la solidarietà e, mi spiace dirlo, viene a mancare  in particolar modo la solidarietà giovanile. Quei valori di cui dovrebbe nutrirsi l’anima di un giovane, tanto da spingerlo a voler cambiare il mondo e cancellare le ingiustizie sociali, non ci sono più. 
La società è impegnata in un falso progresso materialistico, le nuove generazioni sono distratte dai media, dagli oggetti, ma anche non sensibilizzate da genitori (e dalla scuola stessa) che sembrano aver dimenticato quale grande responsabilità abbiano.
Quei giovani solidali, vivi e palpitanti, in grado di volgere lo sguardo al compagno meno fortunato e di condividere del tempo con lui, si incontrano raramente.

Già la solitudine dei ragazzi disabili viene amplificata da un sistema che  non si occupa sentitamente e globalmente del problema: per esempio, non esistono dei veri centri di aggregazione estiva che realizzino l'inclusività, luoghi concepiti con competenza e senso di responsabilità, dove possano anche essere reclutati dei ragazzi/tutor, volenterosi e con il desiderio di condividere un’esperienza bellissima e costruttiva. Investire in questo significherebbe recuperare tanta gioventù e non mi riferisco solo ai ragazzi con disabilità.
Ho cercato invano qualcosa di lontanamente simile, trovando qualche sparuta iniziativa privata che non si può considerare pienamente adeguata. 
L’unica struttura che renda l’idea sembra il Dynamo Camp ma si rivolge ai ragazzi fino a 17 anni, soprattutto malati oncoematologici e neurologici in riabilitazione.
Questi vincoli di età sono ancor più discriminanti e non riesco a comprenderli.
In compenso nel Texas  c'è un parco acquatico inclusivo progettato da esperti con l'aiuto dei caregiver, con tanto di giochi sensoriali e iniziative per tutti, una cosa da sogno... ma troppo lontana.

Per concludere una riflessione che potrebbe potrarsi oltremodo, c'è bisogno di una solidarietà corale, senso di responsabilità, profondità di pensiero, unita alla gestione sensata e consapevole delle risorse da parte dello Stato, con il fine di voler concretamente adeguare la qualità di vita di questa grossa fascia di popolazione agli standard di tutti gli altri. 


E nell'attesa di uno Stato che si renda presente, la salvezza è nei giovani, ai quali faccio un appello: siate compassionevoli, che non significa fare pietismo, ma sentire il bisogno di alleggerire il peso dell'altro. Guardate al vostro compagno che non può muoversi, magari è nel palazzo accanto e non può uscire se non accompagnato, e il suo cuore scoppia degli stessi vostri sogni e della stessa voglia di respirare l'estate insieme agli amici... Basta un po' del vostro tempo. Allegerite le sue catene, per sentirvi più pieni, più vivi, insieme.

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