8 novembre 2014

“Disabile”, un termine figlio della nostra mancanza di civiltà




In Italia non esiste una vera cultura della disabilitá. La cultura della disabilitá é il risultato di un processo evolutivo che nella nostra società non si é ancora radicato, come invece da molto tempo é avvenuto in altre parti del mondo. Una persona con disabilitá in Italia viene trasformata automaticamente in un cittadino di serie B. Trasformata, proprio così. Perché ciò che ancora non si é compreso o meglio non ci si impegna a capire, é che non si nasce “disabili”, ma é la struttura sociale a creare questa figura. Non si nasce disabili ma semplicemente si può incontrare l’handicap nella propria vita. É l’esistenza stessa ad avere insita questa possibilità, non siamo esseri perfetti e scevri da incidenti di percorso. Ciascuno di noi può trovarsi dall’oggi al domani a vivere una situazione di handicap. Persino in quella fase naturale della vita che chiamiamo “vecchiaia” si vive l’handicap. Ed anche un bambino piccolo, ancora incapace di muoversi autonomamente, in fondo sta vivendo un handicap ed ha bisogno di essere assistito rispetto al mondo che lo circonda. Se ci riflettiamo scopriamo moltissime situazioni dove ci scontriamo con una non piena efficienza fisica, seppur in modo temporaneo. Eppure quando vediamo una persona su una sedia a rotelle ancora ci sentiamo legittimati a provare sentimenti di diversità. In questo contesto voglio sottolineare specificamente l’handicap motorio, anche se il discorso abbraccia un senso più ampio e quindi ogni tipologia di “menomazione” fisica o mentale. Ma l’handicap motorio ha un ostacolo materiale aggiunto, oltre i limiti della mente ci si trova a lottare contro barriere fisiche, tangibili, che rendono la vita invivibile nella sua praticità quotidiana. Barriere che danneggiano l’esistenza di interi nuclei familiari. E in fondo, sarebbero le più facili da eliminare, nella concezione di un governo civile ottimizzato al benessere dei cittadini.
Ma la struttura mentale e sociale é talmente anestetizzata da farci vivere costantemente riflessi in una immagine distorta, in una realtà fittizia che mostra un’umanità votata all’inseguimento della perfezione fisica. Oserei dire pilotata in tal senso, tanto da sponsorizzare sistematicamente contenuti adatti ad esseri umani quasi bionici, sempre nel pieno delle proprie abilità.  E se negli ultimi anni, timidamente, si inizia a parlare di disabilitá presentando ai media questi extraterrestri di cui si conosce poco o nulla, é pur vero che spesso il messaggio risulta sbagliato. Si tende infatti a creare una risonanza eccessiva su vicende molto comuni, amplificando il concetto di diversità. Una persona che vive con l’handicap può conseguire una laurea, o scrivere un libro, oppure sposarsi, senza per questo essere protagonista di un evento sensazionale e di una conseguente scia di pietismo ipocrita.
Noi tutti siamo l’imperfezione, l’imprevedibilità’, il transitorio. Ma non ci piace e continuiamo a distaccarci dalla verità, a separarci dai nostri simili che testimoniano questa verità. La discriminazione nasce sottilmente, nei pensieri e nei gesti inconsapevoli. La discriminazione affonda le sue radici nella paura della realtà. La separazione risiede in quel pietismo che ci fa sentire tanto buoni ma che nulla di costruttivo possiede. E tutto ciò si riflette ovunque e ogni giorno nelle nostre città che non prevedono di includere anche chi ha incontrato l’handicap lungo la strada della propria vita. Le nostre città sono agglomerati senza rispetto alcuno per la nostra imperfezione e, di conseguenza, per noi stessi. Strutture e infrastrutture inaccessibili, uffici pubblici e negozi, luoghi di svago, strade e marciapiedi, abitazioni, mezzi di trasporto, ascensori e quant’altro possiamo aggiungere: tutte gabbie impossibili da raggiungere o (nel caso delle abitazioni) dalle quali poter uscire. E non sono certo quelle poche eccezioni che cambiano la qualità della vita generale. Non devono essere concessioni elargite per buonismo, si tratta di diritti fondamentali della persona, da rispettare e far rispettare. Ci sono delle Leggi precise che sottolineano e tutelano questo, eppure in Italia sembrano non bastare. Esistono trattati europei che sanciscono i principi dell’uguaglianza dei diritti e la nostra stessa Costituzione! Le barriere architettoniche vanno abbattute di pari passo con quelle mentali, in un processo evolutivo che deve mantenersi vivo e costante e deve essere una preoccupazione fondamentale per chi ci governa. Non si può pensare di “fare passi avanti” senza porre attenzione a questo aspetto della vita che fa parte del nostro DNA. Se oggi siamo efficienti, domani molto probabilmente non lo saremo e questo vale per tutti, anche solamente per il fatto naturale di dover invecchiare. E se intorno a noi le strutture sono diventate tutte accessibili, se il luogo dove viviamo é completamente e autonomamente fruibile, la qualità della nostra vita non risentirà così tanto del cambiamento fisico. Con un handicap si può nascere o si può acquisire nel corso dell’esistenza ma “disabile” ti fa diventare la struttura sociale, se ti toglie l’autonomia e la libertà di vivere come tutti. Il “disabile” non esiste come concetto in sé, viene creato da una società assente a sé stessa. É un termine figlio della nostra mancanza di civiltà, della nostra incapacità di valutare l’essere umano sempre e comunque come una risorsa e, sopratutto di permettergli di continuare ad esserlo in ogni circostanza.

(articolo scritto da Cristiana Orecchini per il mensile Viavai di Roma)

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